Leopoldo II Giovanni è stato l'ultimo granduca regnante del Granducato di Toscana prima dell’Unità d’Italia.
Figlio di Ferdinando III, ne raccolse l'eredità di sovrano illuminato e innovatore, facendosi amare dai toscani fin da ragazzo anche per il carattere mite e il comportamento informale, che lo ribattezzarono con nomignoli affettuosi, come “broncio” per la sua espressione o "Canapone" per il colore sbiadito dei suoi capelli biondi. Quando abbandonò Firenze nel 1859, al termine del suo governo, i fiorentini lo salutarono per strada come “babbo Leopoldo”.
Quando alla morte del padre Ferdinando, nel 1824, Leopoldo II assunse il potere dimostrò dubito di voler essere un sovrano indipendente.
Come per il padre uno dei suoi massimi impegni fu un avanzato piano di opere pubbliche, tra le quali il completamento della bonifica della Maremma (per questo motivo una sua statua troneggia anche nella piazza principale di Grosseto, Piazza Dante) e l'ampliamento del porto di Livorno.
Non mancarono la costruzione di nuove strade ma anche l’impegno nel promuovere l’”industria del forestiero”: il primo sviluppo del turismo.
Dal punto di vista politico, il governo di Leopoldo II fu in quegli anni il più mite e tollerante negli stati italiani, attirando gli intellettuali di tutta Italia, vessati dalle tormentate vicende del Risorgimento: tra gli straordinari nomi ricordiamo Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Guglielmo Pepe, Niccolò Tommaseo trovarono rifugio in Toscana.
In altri casi, personalità toscane che altrove sarebbero state perseguitate come Francesco Domenico Guerrazzi e Giovan Pietro Vieusseux non ebbero problemi gravi, suscitando rabbia e frustrazione degli austriaci.
È rimasta celebre la risposta del granduca all'ambasciatore austriaco che si lamentava che «in Toscana la censura non fa il suo dovere», al quale ribatté con stizza «ma il suo dovere è quello di non farlo!».