olio su tavola, cm 54,7x74,3
firmato in basso a destra: A Picchi
Retro: scritta: A. Picchi “L’incendio degli sterpi”; targa recante i seguenti dati: A. Picchi 1959 / L’incendio degli sterpi
Concepito nell’ambito di una temperie stilistica ancora in linea con gli assunti del postmacchiaiolismo, l’opera dal titolo L’incendio degli sterpi contraddistingue la poetica paesaggistica di Anchise Picchi, finalizzata all’ambientazione dell’epopea contadina all’interno di composizioni sottolineate da drammatici contrappunti luminosi che ne evidenziano implicazioni simboliche e intimistiche.
Fu proprio Luigi Servolini, amico ed estimatore dell’artista, a restituire le componenti liriche dell’iconografia agreste prediletta da Picchi fin dagli esordi, nei termini di “un gusto finemente impressionistico con vedute ampie di paesaggi, rese a large pennellate lasciate senza impasto, sotto cieli tempestosi, animali domestici, scene di lavoro con figure in controluce, strade di campagna, fuochi all’aperto, casolari di paese (…), opere tutte sentite con grande amore per la natura, senso lirico, in radiosa luce, dipinte nello studio o en plein air” (L. Servolini (a cura di), Anchise Picchi, catalogo della mostra, Casciana Terme 1978).
Trasferitosi a Collesalvetti intorno alla metà degli Anni Venti, l’artista avrà occasione di frequentare artisti quali Francesco e Luigi Gioli, oltre che Carlo Servolini, finchè, trasferitosi a Livorno nel 1956, instaura rapporti di amicizia e condivisione artistica con alcuni membri del Gruppo Labronico, tra cui Cafiero Filippelli, Corrado Michelozzi, Renato Natali, Gino Romiti e, soprattutto Lando Landozzi con il quale collaborerà in vista dell’impresa editoriale della Commedia Labronica delle belle Arti (Lecco 1960).