olio su tela
cm 53,2x56,5
firmato in basso a sinistra: Carlo Servolini
Donato al Comune di Collesalvetti con delibera del 23 settembre 1965
Esposizioni Collesalvetti, Villa Carmignani, 27 novembre 2004 - 2 gennaio 2005, Livorno 2004.
Bibliografia F. Cagianelli (a cura di), Carlo e Luigi Servolini. L’arte, il pensiero, le
tecniche, catalogo della mostra (Collesalvetti, Villa Carmignani, 27 novembre 2004 - 2 gennaio 2005), Livorno 2004, p. 67 (ripr.); F. Cagianelli, Carlo Servolini 1876-1948. Dipinti, acquarelli, incisioni, Cinisello Balsamo, Milano 2006, p. 110 (ripr.)
L’opera si inserisce nel ciclo paesaggistico dedicato da Carlo Servolini agli scenari ambientati tra Tombolo e Calambrone, spesso costellati di personaggi dediti a occupazioni e mestieri legati al mondo contadino. Sul registro non meramente naturalistico di tali scenari si pronuncia Gino Mazzanti il più attendibile testimone delle peregrinazioni dell’artista nella macchia presso il “padule livornese”, che ricorda come, una volta tornato al suo studio, fosse solito trasporre sulla tela, o più spesso sulla carta, non pedestri rappresentazioni del vero ma liriche “visioni” (G. Mazzanti, Ricordo ventennale di un maestro. Carlo Servolini pittore e acquafortista (1876-1948), in “Le Venezie e L’Italia”, VII, 3, 1968, pp. 30-34).
Definite quali “macchie solinghe” - quelle di Tombolo e di Coltàno – pressochè interamente distrutte durante l’ultimo conflitto, quest’ultime diventano in realtà magiche quinte scenografiche per le divagazioni dell’artista, volte a ritrarre con cadenza epica la fatica del lavoro umano, commentato da una tessitura luminosa solo apparentemente memore della stagione macchiaiola, in effetti invece proiettata verso le novità della tecnica divisionista.